Esiste, allora, il disastro nella vita di un essere umano? C’è modo di evitare il dolore che esso comporta?
Capitano eventi, apparentemente, inaffrontabili! A tal punto che l’impatto iniziale potrebbe portare il pensiero e l’azione a compiere, a volte, gesti cosiddetti estremi. La disperazione ha la meglio e si tenta di evitare il duro colpo. Ma, forse, con un simile stato d’animo, si arriva solo a una soluzione palliativa.
“Sono cose che capitano” è una risposta che invita ad affrontare l’accaduto, senza evitare la sofferenza. Non è un consiglio intellettuale, ma una spinta a buttarsi in quella situazione, per ascoltarla, per ascoltarsi fino in fondo, con tutto il corpo. Un respiro profondo, un sorriso, il gesto delle braccia del maestro sono la prova di come si possa conquistare, senza cinismo, la facoltà di prendersi un po’ in giro anche nelle difficoltà. E di come si possa dire, sorridendo coraggiosamente, un “Grazie!” alla vita così com’è, nonostante la ferita, nonostante tutto.
“Sono cose che capitano” chiede di non pensare all’accaduto come disastro, ma come ”quello che capita”, come una delle tante contraddizioni che la quotidianità presenta.
Si arriva così a un’accettazione dell’evento, di qualsiasi natura esso sia: la morte di una persona amata, una calamità naturale, un tradimento, un “insuccesso” professionale diventano, allora, eventi di passaggio. S’impara a prendere con distacco un legame, per scoprire, se pur attraverso il dolore, una nuova dimensione; come un veliero che, attraccato da tempo in un porto, scioglie gli ormeggi per solcare altri mari.
Tratto dal sito "Siamo Donne"
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